L’Imitatio Alexandri

Articolo di Paolo Mondola

 

L’imitatio Alexandri è un fenomeno complesso che appare in moltissime società e ambiti culturali diversi, dove esponenti regali o aristocratici adottano elementi della storia del Macedone. Nel corso della storia, numerosi personaggi influenti delle società si autocelebrarono con riferimenti diretti alle grandi battaglie o all’arte di Alessandro per creare un ponte di memorie tra quanto vissuto da loro e la grande storia del passato. Il fenomeno può essere considerato una tappa naturale nella formazione di un linguaggio artistico universale a partire dall’età ellenistica. Inoltre, l’immagine di Alessandro fu rivoluzionaria non solo per l’arte, ma anche per la cultura popolare ed influenzò le concezioni degli esseri umani, degli eroi e degli dei, della natura del potere, delle virtù e dei limiti del potenziale umano. Alessandro, con le sue immagini, aveva modificato il modo in cui le persone vedevano e percepivano l’arte, dotandola di un nuovo significato che segnò in modo indelebile tutte le società. Già nell’antichità la figura di Alessandro era diventata camaleontica, paradigmatica e aveva assunto, in special modo nel corso dei due ultimi secoli, un grande significato nello sviluppo della filosofia, della storia e dell’ideologia sociale.

Alessandro divenne fin da subito il modello di basileus e la consuetudine di imitarlo iniziò già con i diadochi, che fecero propri gli attributi iconografici del ‘divo’ Alessandro.

Si parla, quindi, di imitatio quando un individuo fa riferimento al nome e all’aspetto di Alessandro, ai suoi simboli di potere e divinità, e modella i propri ritratti (ad esempio su monete o sculture) su quelli di Alessandro copiando elementi caratteristici della sua iconografia.

Nel 305/4, Tolemeo I assunse il titolo di re d’Egitto. Per celebrare l’occasione, produsse una nuova monetazione con un suo ritratto (Fig. 46).

Fig. 46 – Regno di Egitto, Tolemeo I, statere, zecca di Cirene

(inizi del III secolo a.C.).

Per la prima volta, infatti, senza che vi siano incertezze interpretative e/o cronologiche, un sovrano si autorappresenta sul proprio numerario. Il ritratto di Tolemeo è estremamente realistico: non c’è nessuna volontà di migliorare l’aspetto del volto del re, ormai cinquantenne; il mento e il collo sono grossi, l’occhio è profondamente incavato nelle orbite, il naso è piuttosto adunco e la fronte mostra un principio di calvizie. Ma l’estremo realismo del ritratto si apre nello stesso tempo ad una dimensione divina: Tolemeo indossa infatti gli attributi del diadema di Dioniso/Alessandro e dell’egida di Zeus/Alessandro. Questa insistita adozione di attributi tipici degli dei e di Alessandro sulla monetazione era utile a rafforzare il potere del diadoco.

La scritta del rovescio è dedicata al sovrano vivente (ΠΤΟΛΕΜΑΙΟΥ/ΒΑΣΙΛΕΩΣ). Alessandro è rappresentato per la prima volta su una monetazione postuma a figura intera, mentre avanza verso sinistra alla guida di una quadriga trainata da quattro elefanti. Tutti gli elementi della scena contribuiscono a sottolinearne ancora una volta il carattere divino e superumano.  È dotato infatti degli attributi dell’egida, che gli copre le spalle e la schiena come una sorta di clamide e del fulmine nella mano destra. L’egida è in realtà presente solo nei conii più ricchi di dettagli, per la raffigurazione dei serpentelli che ondeggiano sul retro; il che costituisce un ulteriore rimando al padre degli dei, proclamando in tal modo l’apoteosi di Alessandro come Zeus colto nella processione trionfale: il volto imberbe del personaggio sembra escludere l’identificazione dell’auriga come il dio stesso.

Un altro sovrano ellenistico che fu influenzato da Alessandro fu Demetrio I Poliorcete (294-287 a.C.). Il primo autore ad esprimere con convinzione che le gesta di Alessandro influenzarono Poliorcete è stato Plutarco nella sua Vita di Demetrio[1]. Lo scrittore paragona varie volte i due personaggi, sostenendo che Demetrio cercò di imitare Alessandro; afferma, tuttavia, che l’unica caratteristica che li accomunava effettivamente era la passione per il lusso e per la stravaganza degli abiti che indossavano[2]. Plutarco riteneva accettabile che un sovrano imitasse l’opulenza di Alessandro purché accompagnata da altri tratti di eccellenza. Demetrio, tuttavia, è qui descritto come un re depravato e incapace dell’aretè che caratterizzava il figlio di Filippo. Plutarco sostiene inoltre che, in certi casi, furono gli stessi Macedoni a tracciare per primi i paragoni tra Demetrio e Alessandro: per questi, però, Demetrio e altri sovrani ellenistici erano solo in grado di rappresentarne la maestà e il fasto, ma non l’audacia.

La monetazione di Demetrio è una questione ancora discussa riguardo la sua imitatio Alexandri. Prima della battaglia di Ipso, gli Antigonidi continuarono a coniare i tipi di monete di Alessandro; lo stesso Demetrio mantenne questa pratica in alcuni territori fino agli anni ’90 del III secolo. Sebbene possano esserci numerose ragioni dietro questa decisione, questa è comunemente percepita come una dimostrazione della lealtà degli Antigonidi verso Alessandro e i re Argeadi. Tuttavia, alla morte di suo padre nel 301, il Poliorcete abbandonò in gran parte la pratica e adottò nuovi tipi di monete. L’iconografia antigonide, in particolare, si sforzò di sviluppare gradualmente il proprio ritratto sulle monete, che alla fine divenne sistematico durante il suo regno in Macedonia. Sul diritto dei tetradrammi battuti intorno al 292/1 Demetrio appone il proprio ritratto, adorno di diadema e di corna di toro (Fig. 47). Il particolare animale sembra veicolare molteplici messaggi, richiamando Poseidone, sotto la cui protezione si era posto il re e – per analogia con la posizione del corno di Ammone nelle raffigurazioni di Alessandro –, sottolineare la filiazione di Demetrio dal dio, che è raffigurato sul rovescio delle monete completamente nudo, con il piede destro poggiato sopra una roccia e il tridente nella sinistra.

Fig. 47 – Regno di Macedonia, Demetrio I, tetradramma,

zecca di Anfipoli (292-291 a.C. ca.).

Demetrio è ritratto come un giovane uomo imberbe con occhi spalancati, capelli ricci e sguardo rivolto verso l’alto. Può darsi che i ritratti di Demetrio siano stati concepiti per creare un’associazione con i ritratti postumi di Alessandro ben noti grazie alle monete di altri successori, in particolare Lisimaco. In altre parole, si trattava di una strategia visiva per collegare i due re ed enfatizzare il legame di Demetrio con l’eredità degli Argeadi. Questa interpretazione dei ritratti di Demetrio invita infatti a presupporre che egli abbia adottato Alessandro come modello. Inoltre, nel ritratto di Demetrio, a differenza di quello di Tolemeo I, nel quale il Lagide si era limitato a rivestire l’egida di Zeus, il corno di toro spunta direttamente dalla tempia del re. Grazie alla sua posizione – che richiama quella degli attributi taurini dei tori androprosopi e delle divinità fluviali-, il confine tra il sovrano vivente e la divinità non è più indistinto, così che Demetrio assume le sembianze di una vera e propria divinità.

Se tale approccio fosse corretto, implicherebbe che il Poliorcete fu il primo sovrano dopo Alessandro a promuovere il proprio lignaggio divino. Demetrio utilizzò anche altri elementi tradizionalmente appartenenti all’iconografia di Alessandro, come le immagini di Atena che indossa un elmo corinzio o la Nike alata, che non erano presenti nella monetazione macedone prima di Alessandro. Particolarmente interessante è la presenza di quest’ultima dea sulle monete: la sua figura sulle monete di Demetrio evoca la grande vittoria navale del re a Salamina nel 306 e ricorda molto la Nike degli stateri d’oro di Alessandro.

Si è notato che attributi divini come corna di ariete o di toro, egida, pelle di pantera caratterizzano molti dei ritratti monetali dei sovrani della prima e seconda generazione dopo Alessandro, in un momento in cui la regalità ellenistica si stava costituendo e non aveva nessun altro modello di riferimento, se non lo stesso Macedone.

Altro sovrano ellenistico che si ispirò al modello di Alessandro fu Pirro (307-272), re dell’Epiro nato pochi anni dopo la morte del Macedone: come Alessandro aveva una storiografia di corte (Prosseno), le sue Efemeridi e una propaganda della propria discendenza eroica (Achille).

L’iconografia di Achille, già utilizzata ampiamente da Alessandro, fu adottata anche da Pirro in un’emissione monetale battuta a Locri intorno al 280/278: sul diritto dei didrammi è raffigurata la testa di Achille coperta da elmo con grifoni; sul rovescio Tetide velata, seduta su un cavallo marino che regge lo scudo per il figlio (Fig. 48).

Fig. 48 – Achille, didramma di Pirro, da Locri (280-278 a.C. ca.).

 In età romana, in special modo a partire dalla tarda età repubblicana, Alessandro interessa soprattutto in quanto grande generale vittorioso e conquistatore; in seguito, la prospettiva diventa duplice, investendo non solo il livello dell’Alessandro creatore di un impero, ma anche quello dell’Alessandro immagine ideale del capo politico. Era ritenuto una figura positiva sotto diversi aspetti: grande conquistatore, capace di concepire sogni universalistici e di realizzarli; unificatore dell’ecumene e, in un certo senso, della stessa umanità, in un sogno di fusione che oggi chiameremmo multietnico che pure non mancò di suscitare reazioni ostili; uomo assetato di conoscenza, mosso da uno zelos che lo portava a non porsi mai limiti.

Molti condottieri romani cercarono di imitare Alessandro e le sue imprese, e nel I secolo a.C. s’iniziò ad associare lo scontro contro i Parti al conflitto tra Greci e Persiani di tre secoli prima.

Le fonti letterarie ricordano che fu soprattutto Pompeo a prendere a modello fortemente Alessandro: Plutarco parla addirittura di una somiglianza fisica tra i due condottieri, ma aggiunge che questa era solo la sua opinione[3]; Sallustio scrive che Pompeo fu paragonato ad Alessandro fin dalla sua giovinezza dai suoi adulatori[4]. Gli avversari di Pompeo si accorsero presto di questo fatto e iniziarono a ridicolizzarlo confrontandolo ad Alessandro; di conseguenza Pompeo cessò intenzionalmente di imitare Alessandro fino alla sua campagna orientale, quando riprese l’imitatio per la sua propaganda in Oriente.

Ricevette l’epiteto di Magnus, con un evidente richiamo ad Alessandro Magno, dopo il successo della campagna africana o dai suoi soldati o da Silla[5]. Appiano conferma che grazie ai successi delle sue campagne militari il generale aveva apportato le maggiori aggiunte territoriali all’Impero e aveva acquisito in tal modo il titolo di Magno[6].  

È interessante richiamare inoltre la somiglianza tra i ritratti dei due personaggi: i tratti più evidenti sono la stessa acconciatura di capelli, l’anastolè, e la peculiare inclinazione della testa (Fig. 49).

Fig. 49 – Ritratto di Pompeo Magno. Marmo; copia di età claudia di un tipo diffusosi a partire dal 60 a.C.; Museo Archeologico di Venezia.

In ogni caso, anche dopo i grandi successi militari, molti suoi contemporanei non riconobbero in Pompeo il campione che poteva essere assimilato ad Alessandro. Plutarco pensava che il più simile al Macedone, secondo quelli che erano “i segni dell’anima”, fosse colui che aveva sconfitto Pompeo: Giulio Cesare.

Pompeo e Cesare possono essere ritenuti, quindi, i primi due grandi condottieri romani che si contesero la mitica eredità di Alessandro che indicava la strada per divenire divini e cosmocrati, cioè sovrani del mondo.

L’imitatio Alexandri più intensa che il mondo antico abbia conosciuto avvenne, però, con Augusto. Le condizioni necessarie c’erano tutte: una forte coorte di intellettuali al servizio del principe, i disegni ecumenici del nuovo sovrano, la necessita di trovare in una Roma ancora fortemente repubblicana giustificazioni ideali per la nuova monarchia augustea che cominciava ad instaurarsi. Queste sono solo alcune ragioni per cui il fenomeno conobbe nella Roma augustea il suo apogeo. Augusto sfruttò il mito di Alessandro in modo diverso a seconda dei momenti e delle situazioni, ma alla fine cercò di sovrapporre la propria figura di prudente realizzatore della pax romana a quella del grande re visionario.

I collegamenti tra i due sono raccolti da Svetonio a partire dalla nascita di Augusto: la madre Atia avrebbe partorito nel contatto con un serpente, sognato le sue viscere sparse su tutta la terra, e il sacrificio a Dioniso fatto da Ottavio in Tracia avrebbe superato con le fiamme il tetto; per non dire degli onori resi da Augusto alla tomba di Alessandro in Egitto e l’incisione del ritratto sul suo sigillo[7]. Diventato imperatore, decorò il suo foro con i due quadri di Apelle raffiguranti l’uno Alessandro vittorioso sulla guerra e pacificatore, l’altro Alessandro vincitore universale accanto ai Dioscuri.

Ma è soprattutto un testo che esprime chiaramente la volontà augustea di prendere per modello Alessandro: le Res gestae Divi Augusti. Già solo il disegno di farle incidere su quelle monumentali lastre di cui resta imponente traccia ad Ankara nel Monumentum Ancyranum e diffonderle nelle province dell’impero, e specie, a quanto pare, in quelle d’Asia che Alessandro aveva conquistato prima dei Romani, è segno di una volontà precisa di prendere Alessandro a modello[8].

L’imitatio di Augusto è nota anche da una precisa testimonianza di Svetonio[9]. Inoltre, il modello del Mausoleo di Augusto fu probabilmente la tomba diAlessandro: il Sema con buona probabilità era un incontro sincretico tra le antiche, semplici e severe tombe a tumulo della tradizione reale macedone (come il Grande Tumulo di Verghina) e i monumenti funebri come la tomba di Mausolo. Anche la tomba del primo imperatore di Roma era uno stupendo edificio a forma di tumulo, ma decorato con marmi preziosi, statue e fregi di grande bellezza[10].

Contemporaneamente a questa prospettiva positiva di Alessandro, però, se ne contrappone anche una negativa.

Tutto si riconduce in questo caso al tema della dominatio, in cui confluiscono la polemica sulla presunta stirpe divina (espressamente bollata come menzogna), la sensibilità alle forme autocratiche del potere, la tendenza al lusso, gli eccessi nel bere, la mancanza di autocontrollo nelle relazioni personali, l’adozione di pratiche orientali e la degenerazione dalle tradizioni patrie. Bisogna anche sottolineare che tutti questi temi risalgono alla tradizione contemporanea ad Alessandro: il rifiuto della paternità di Filippo, l’abbandono delle tradizioni macedoni a favore di quelle orientali, a cominciare dalla proskýnesis, l’incapacità di controllarsi nei rapporti con i compagni che lo criticavano parlandogli da pari a pari, secondo il costume macedone.

Queste due parallele linee interpretative, adottate dalla tradizione romana in chiave propagandistica, sono ben note già alla tradizione greca. Quella della tradizione romana non può dunque essere considerata propriamente una manipolazione della figura del Macedone, ma semmai un recupero consapevole, da parte dell’imperatore o dei suoi oppositori, degli aspetti più funzionali alla propria politica. Imitazione e competizione, dunque: ma anche conciliazione, nella prospettiva dell’unificazione di Oriente e Occidente in chiave ecumenica.

Dopo Augusto, Alessandro resta un modello per diversi imperatori, ma abbiamo goffe imitazioni, che vanno dal Caligola che dorava la sua barba e indossava una lorica di Alessandro, a Nerone che fece dorare una statua di Alessandro giovanetto o arruolò sotto il nome di “falange di Alessandro” militari per la spedizione fino alle Porte Caspie[11].

Dobbiamo arrivare all’età dei Severi per una rinascita dell’imitatio più raffinata e culturalmente profonda. Questa dinastia praticò il culto di Dioniso e l’identificazione con Alessandro-Dioniso domitor orientis è un segno di profonda adesione al modello offerto da Alessandro. Ma è soprattutto con Caracalla che la forma di imitazione di Alessandro diventò maniacale. A tal proposito, Cassio Dione ricorda: 

Era tanto pazza poi la sua smania di uguagliare Alessandro che anche si serviva di alcune armi e di alcune tazze, proprio come se fossero state di Alessandro, gli aveva dedicato molte statue nelle città e nei campi; inoltre aveva una falange composta di soli Macedoni… Perfino questo tuttavia non lo soddisfaceva, ma egli doveva chiamare il suo eroe l’Augusto dell’Oriente; e una volta scrisse proprio al senato che Alessandro era ritornato in vita nella persona di Augusto, e che il Macedone poteva vivere ancora una volta in lui, avendo avuta, precedentemente, una così breve vita. E poi prese cosi ad odiare i filosofi aristotelici che cercò anche di bruciare i libri di Aristotele e agli aristotelici tolse il collegio e ogni altro privilegio di cui godevano in Alessandria, considerando colpa loro che Aristotele fosse ritenuto uno degli autori della morte di Alessandro. E facendo tutto questo, portava con sé molti elefanti per dare l’aria di imitare Alessandro, o forse Bacco[12].

Anche Erodiano è della stessa opinione:

Fu un altro Alessandro…Volle rinnovare con molti omaggi la memoria del conquistatore e ordinò che l’effigie di lui fosse posta in tutte le città, Roma, il Campidoglio, i templi degli dei furono popolati delle statue dell’eroe di cui egli assimilava la gloria. Si videro anche talune ridicole immagini che rappresentavano su un solo corpo e una sola testa i volti di Alessandro e di Caracalla. Egli stesso vestiva in pubblico il costume dei re di Macedonia, la loro causia e le loro calzature e avendo formato un corpo di giovani scelti lo denominò falange macedone, e diede ai capi i nomi dei generali di Alessandro[13].

La venerazione di Caracalla per Alessandro è visibile anche il alcuni conii emanati in Cappadocia e nella Siria romana. La moneta di Caesarea, coniata nel 197 d.C., sul diritto raffigura Caracalla che impugna lo scudo con l’immagine di Alessandro (Fig.50).

Fig. 50 – Moneta di Caracalla. Bronzo; da Caesarea, Cappadocia (197 d.C.).

La tipologia del busto di Caracalla che tiene scudo e lancia riproduce una posa già caratteristica della tradizione iconografica di Alessandro. Per di più, in questa moneta il messaggio dell’imitazione è ancora più esplicito e rafforzato perché sullo scudo è raffigurato Alessandro al posto della tradizionale Medusa. Un’altra moneta di Caracalla più tarda, coniata ad Eliopoli e risalente al 215–217 d.C., rappresenta l’imperatore con la stessa posa eroica: nel diritto Caracalla è più maturo e dotato di uno scudo che ancora una volta è decorato dalla figura di Alessandro giovane con capelli fiammeggianti. In più, nello scudo è stata aggiunta un’altra immagine: si nota una figura umana cerca di catturare un cavallo che si muove verso sinistra; è molto chiaro che questa scena ricorda il famoso episodio di Alessandro che doma il suo cavallo Bucefalo (Fig.51).

Fig. 51 –   Tetradramma di Caracalla. Argento, Heliopolis (Baalbek), Siria (215-217 d.C.).

Altra testimonianza dell’influenza di Alessandro su Caracalla è uno stupendo medaglione d’oro proveniente da Abukir, in Egitto, ed oggi conservato al Gabinetto numismatico di Berlino (Fig. 52). Il diritto rappresenta Caracalla armato di lancia e scudo, con un’espressione di impeto e potere; nel rovescio vi è Alessandro seduto e la Nike che mantiene uno scudo decorato con una famosa scena della guerra di Troia: Pentesilea, regina delle Amazzoni, uccisa dall’eroe greco Achille.

Fig. 52 – Medaglione di Caracalla. Oro; da Abukir, Egitto, Gabinetto delle monete di Berlino (211-217 d.C.).

Sempre sotto Caracalla, è importante ricordare anche la nascita del culto di Alessandro a Roma e l’emanazione della Constitutio Antoniniana, provvedimento che concesse per la prima volta la cittadinanza romana a tutti i liberi dell’Impero romano e ispirata, secondo alcune interpretazioni, dall’Alessandro “unificatore”[14].

A Roma l’immagine di Alessandro si diffuse anche grazie al fenomeno dei contorniati, particolari medaglie coniate nella capitale dalla metà del IV al alla metà V secolo d.C. (Fig. 53 e 54).  Questi oggetti, in genere di bronzo, si caratterizzano per un solco che segue il contorno di entrambe le facce e per le loro particolari iconografie; non sono né monete né medaglioni celebrativi. Ancora oggi gli studiosi discutono sul loro utilizzo. Di solito sul diritto vengono raffigurati personaggi illustri come i sovrani, gli dei, i filosofi oppure immagini dei giochi del circo come gli aurighi, le quadrighe, i cavalli etc.; sul rovescio sono rappresentate diverse raffigurazioni della vita romana o di monumenti, e fra questi il preferito è il Circo Massimo. Le figure sono accompagnate quasi sempre da un’iscrizione esplicativa in latino o in greco. Sono state avanzate svariate ipotesi sulla loro funzione. Secondo la teoria più diffusa, i contorniati erano tessere o pedine da gioco[15]. Al contrario, per Santo Mazzarino, questi oggetti erano distribuiti in occasione delle grandi feste e giochi romani, e rispecchiavano la cultura popolare a Roma di quel periodo. Questa ipotesi giustificherebbe le iconografie di carattere ludico e dei personaggi più famosi dell’antichità[16].

Secondo Andreas Alföldi, i contorniati erano invece il «mezzo della propaganda senatoria contro l’impero cristiano», una specie di amuleti pagani distribuiti dai senatori durante le feste dei Saturnalia per rafforzare i valori della cultura e della religione tradizionale[17].

Fig. 53 – Contorniato di Alessandro. Diritto: Alessandro con leontea; Rovescio: Circo Massimo. Bronzo; da Roma, Museo Civico Archeologico di Bologna (fine del IV sec. d.C.).

Fig. 54 – Contorniato di Olimpiade. Diritto: Olimpiade con scettro. Rovescio: Alessandro con lo scudo. Bronzo; da Roma, Gabinetto delle monete di Berlino (fine del IV – inizi del V sec. d.C.).

[1] Plut. Demetr. 10.3; 25.4–5; 29.2; 37.4; 44.1.

[2] Plut. Demetr. 41.4–5.

[3] Plut. Pomp. 2.1.

[4] Sall. Hist. 3.88.

[5] Plut. Pomp.13.3-5; Dio Cass. 30-35.107.1.

[6] App. Rom. hist. 2.86.363.

[7] Suet. Aug. 94.

[8] Nenci, 1992.

[9]Suet. Aug. 50.

[10] Adriani, 2000.

[11] Plin. N. H.  34.63.

[12] Dio Cass. 78 7-8.

[13] Hdn. 4.8 1-2.

[14] Nenci, 1992.

[15] Elkins, 2012.

[16] Mazzarino, 1959.

[17] Alföldi, 1990.

 
 
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